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“Il vero male per l’uomo non è quello che soffre, ma quello che fa.”
Con I promessi sposi, Alessandro Manzoni ha trasformato il romanzo storico da opera letteraria di pura evasione, ambientata in cornici scenografiche, con personaggi artificiosi e aristocratici e rivolta all’élite intellettuale, in una narrazione vicina alla verità storica e con gli umili, e i loro ambienti, al centro della scena. Il suo obiettivo era la formazione morale della società italiana, ovvero la borghesia emergente dei primi decenni dell’Ottocento. Una formazione che riguardava la cultura e l’etica ma anche la lingua, quell’italiano di matrice toscana che ancora non era diffuso, di fatto, sull’intero territorio nazionale. E come in altre opere dell’ex teista Manzoni, su tutto aleggia il ruolo salvifico della Provvidenza, la «provida sventura», che non impone però il cieco abbandono ai disegni divini ma deve essere mediato – ed è questa la novità cruciale – dal comportamento e dalle responsabilità individuali.
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