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Autobiografie: generale Memorie Studi/tematiche LGBTQ+
Editore: Edizioni Black Coffee
Anno: 2021
Lingua: Italiano
Rilegatura: Brossura
Pagine: 144 Pagine
Isbn 13: 9788894833515
Con questo memoir Belcourt traccia la propria storia personale nel tentativo di riconciliarsi con la realtà in cui è nato. Inaugurate da una lettera a Nôhkom, la nonna con cui l’autore è cresciuto nella riserva della Driftpile Cree Nation, in Canada, queste meditazioni ci invitano a esplorare la realtà di un’esistenza queer e il mondo spezzato in cui vivono le popolazioni indigene. Belcourt ce ne illustra le contraddizioni, svela i soprusi subiti per mano dei colonizzatori e valorizza la gioia che, ciononostante, continua a sbocciare. Tra prime infatuazioni e delusioni amorose, sperimentazione sessuale e desiderio d’intimità, scopre nella scrittura uno strumento per sopravvivere ed elaborare la propria complessità. "Storia del mio breve corpo" non è solo una profonda riflessione su memoria, genere, rabbia, vergogna ed estasi, ma anche un viaggio emotivo che apre gli occhi su una realtà troppo spesso dimenticata e uno sguardo ottimista sul futuro dei nativi. Mettendosi a nudo con incredibile sincerità, tramite una scrittura lirica, Belcourt si posiziona al centro di un fitto dibattito letterario sulle sfaccettature dell'identità nordamericana contemporanea.
Recensioni
Stefi
Billy - Ray Belcourt è un talentuoso poeta, però in questo libro lo incontriamo come scrittore di un saggio e memoriale. In queste pagine ripercorre un po' la sua vita inserendola in un contesto ben specifico di razzializzazione. Questa parola ricorre spesso nell'opera perché è così che viene affrontata la convivenza con i nativi in Canada. Questo argomento mi affascina dato che il Canada mi sembrava perfetto, un posto aperto e accogliente per tutti, chissà perché avevo questa idea! Poi ho letto alcuni articoli su orrendi crimini perpetrati ai danni di varie tribù indigene del Canada e ho deciso di leggere qualcosa di sincero che mi raccontasse cosa stesse accadendo oggi in queste vaste lande. Purtroppo niente di nuovo, niente che non abbia già riscontrato in altre letture e approfondimenti. Belcourt utilizza spesso un linguaggio filosofico, essendo come dichiara lui stesso "affamato di concetti utopici", creandomi non poche difficoltà per stare al passo. Malgrado ciò è stata una lettura bella e molto dolorosa, e come spesso mi accade, mi ha creato un forte senso di vergogna perché forse pecco di banalità ma credo che quando la società fallisce siamo tutti un po' colpevoli.
"Alla prima presentazione di ``This Wound Is a World`` una signora bianca è venuta a implorarmi di non togliermi la vita. Tradotto, non avevo ancora avuto la mia morte tragica. Allora come oggi ero una statistica, materiale sociologico. Ciò che la signora ha visto, là dove avrebbe dovuto esserci il mio corpo, è stata la sagoma di un corpo circondata di indicatori della mia data di scadenza. Ha udito la tremenda musica emessa non dal desiderio di un altro mondo, ma di una morte prematura, di un annullamento. Avrei dovuto chiederle di piangere per se stessa, per le sue misere certezze di canadese."
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